La mia generazione ha vissuto infanzia e fanciullezza a ridosso del ’68, in ogni senso. Anche il Natale ne veniva fuori ‘ritoccato’, anche il Presepe.
Ci pareva che dovesse essere rivisto quel quadro trito e superato della Grotta con la Santa Famiglia, le due bestie, il pastore, un angelo pendente da qualche lato…
In fondo -pensavamo- va colto il simbolo, il messaggio, e va attualizzato.
Così passammo a fare un presepe più sociale: giornali ritagliati, pubblicità, oggettistica varia in mezzo a cui come per incanto spuntavano fuori Maria, Giuseppe, il Bambino…
Oggi lo riconosco: si era almeno ridicoli. Oltre che assurdi.
Sì, perché per i cristiani Natale non è solo la memoria dell’Incarnazione, cioè di un Dio che diventa uomo, ma la memoria delle modalità storiche precise in cui è avvenuto il fatto. Ricordare che si è fatto bambino, nascendo in una grotta fuori paese, che fu avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, rifiutato da Erode, visitato dai pastori, è del tutto essenziale, e dimenticare questi particolari è come colpire a morte la memoria del Natale.
Questo ha capito tutta la tradizione cristiana nel conservare e tramandare il Presepe.
Questo ripropongono ogni anno anche i nostri ragazzi col Presepe Vivente: rappresentare il modo preciso con cui il Figlio di Dio si è inserito nella storia degli uomini senza attutirne lo scandalo per tutti coloro che pretendono un Dio pensato e fatto a modo loro.
Certe attualizzazioni del Presepe sono comiche, perché non è tollerabile che Gesù con la sua vicenda venga ridotto di fatto a un’idea, a un valore, fosse pure alto e nobile.
Gesù è nato e ha vissuto fra gente di ceto comune, ha prestato attenzione a quelli che gli altri evitavano; inserendosi nel nostro percorso umano ha scelto, fra tutte le situazioni possibili, quella dello sconfitto: povero, profugo, perseguitato da piccolo; contraddetto, deriso, sfruttato, tradito da adulto. Così che la fede del credente di allora e di oggi è ‘obbligata’ a rintracciare la potenza di Dio in un malfattore qualunque appeso al legno come un maledetto.
Il Presepe è solo Vangelo messo in scena e chi legge i Vangeli dell’infanzia di Gesù e degli anni di Nazareth -cioè della quasi totalità della sua vita- è scioccato dai silenzi: nessuna luce evidente, nulla di straordinario. E questo non dice assenza del divino o un suo nascondimento, ma, all’opposto, una sua incredibile rivelazione.
E’detto poco, quasi nulla. Ma questo nulla ha espresso il modo nuovo di esistere e di cambiare la vita dell’uomo. Venuto in una scandalosa forma d’uomo, il Figlio di Dio ci ha detto che così va cercato Dio: fra gli uomini. Così va accolto: come un uomo. Un uomo che magari ha fame e sete, che si sente solo o viene allontanato; che non sa pretendere i suoi diritti e non ha la forza di tirarsi fuori. Un uomo che sente quasi la colpa di essere nato e di avere avuto la sua storia.
Alla terra di Israele che credeva di avere come unico problema la dominazione straniera, Gesù ha svelato un’altra schiavitù, quella di chi non sa amare e vive prigioniero degli istinti; e una libertà nuova, la fraternità. Dio -diceva- non è mai offeso dalla debolezza; quello che ci allontana da lui è l’attaccamento alle forme a scapito della sostanza, l’autorità come dominio, l’avidità del denaro. E soprattutto: il culto ipocrita, la menzogna di chi ha Dio sulle labbra e si finge religioso, ma disprezza l’uomo che è respiro di Dio.
Una presenza così fu intesa come minaccia. Ma Gesù è stata l’ultima Parola di Dio. Finché sorgerà il sole Dio non dirà altre parole, resterà anonimo tra gli uomini, per i quali è venuto, tra i quali è vivo. Segni di riconoscimento? Quelli del presepe….
don Fabio