Un giorno, poggiato a un tronco nodoso d’albero d’ulivo, mi interrogavo: dove sto andando? I miei occhi si sono sollevati, allora, verso la sua grande chioma.
Poi, d’istinto, mi sono chinato a guardare in basso, attorno a me, dove le grosse radici, allontanandosi dal ceppo, affondavano nella dura terra: da dove vengo? Dove affondano le MIE radici?
Il mio pensiero e lo sguardo non si staccavano dall’albero che, fra le meraviglie della natura, è quella che più si avvicina alla meraviglia dell'uomo e dell'uomo può dire...
L’albero antico custodisce in sé le radici della storia e può narrare le vicende più remote. Nessun altro essere vivente eguaglia lontanamente la sua età che, in alcuni casi, può essere di secoli o addirittura di millenni.
Non è un caso, quindi, che in alcune zone dell’India ci sia l’usanza di piantare un nuovo albero in ogni occasione importante della vita di un uomo, così che crescano insieme, prima fissando le proprie radici nella terra, allargandole tanto quanto la chioma che hanno in sé, e poi spingersi verso l'alto per sprigionare colori inarrivabili, suoni indecifrabili e profumi sconosciuti, in ogni ora del giorno e della notte, e nelle varie stagioni.
Scendere per salire, allora!
La mia storia e la vostra storia è come quella di un grande albero che, squartato dalla vita, può rinascere solo dalle radici e ritrovare lo slancio.
Anche la storia di Israele può essere letta come la storia di un albero maestoso, imponente, che estende i suoi tralci fino al mare, ma che rischia di scomparire per le sue libere disobbedienze, fino a restare un ceppo mozzato e senza protezione … selvaggio …
Ma un virgulto spunterà dal tronco di Iesse, un germoglio dalle sue radici (Is 11,1).
Gesù è il Germoglio, è la novità, è l’arbusto rigoglioso che spunta sul vecchio tronco ebraico, generando il popolo nuovo, il nuovo frutto. Noi siamo quel popolo che nel Natale guarda alle sue antiche radici per ri-attingere linfa, per comprendersi, per lasciarsi rigenerare da questa primavera di vita che è Gesù .
Torniamo "a casa", allora, per comprendere da dove veniamo, dove si nascondono le nostre origini; rientriamo in famiglia per ritrovare le voci e i sapori che aiutano a guarire dalle ferite della vita e a riprendere il cammino con più forza.
Non è possibile dimenticare in questo Natale tutti quei migranti sradicati, di cui tanto sentiamo parlare, che per vari motivi sono costretti a lasciare le nazioni di origine, la loro Terra. Continuamente, la loro mente torna lì, anche quando per anni non potranno più tornare ai loro villaggi.
Il Natale è il momento, è il tempo per pensare anche a chi nella vita ha smarrito le proprie radici.
Una comunità cristiana non può mai dimenticare il ceppo da cui ha origine la sua fede: Gesù!
Egli è la novità del Padre, che nasce da Maria e riesce sempre a darci nuova forza per estenderci come tralci rigogliosi.
Io so che le mie radici sono nella mia terra, nella mia famiglia, nel mio popolo, nella fede in Gesù il Nazareno che da oltre due millenni si pone a sostegno dell’uomo per farlo fiorire con lui. Attraverso la Sua parola, salendo e abbracciando il Suo tronco nodoso ,io, come ogni uomo, assorbo energia nuova per una vita che sprigioni senso.
Quest’anno la mangiatoia vedetela come la sede di un germoglio, tra le braccia di Maria che però è radicata ben più in profondità - fino nel patriarca Abramo - sempre capace con le sue radici di raggiungere la sorgente fresca di un Dio largo nei suoi doni, proprio come l’albero che tutto si dà per dar forza alla vita.
Vi auguro, allora, di scendere alle radici della fede e salire per abbracciare il volto di Dio nei fratelli.
Don Beppe